Lettera a Teresa Arrivabene Giacomelli

Temendo sempre di più l'appoggio di molti ecclesiastici al processo di liberazione, la corte di Roma emanò un decreto secondo cui dovevano essere degradati e sconsacrati tutti i sacerdoti incriminati di alto tradimento. A don Enrico Tazzoli ed al suo compagno di carcere don Giuseppe Ottonelli toccò di subire tale umiliazione.
Tazzoli scrisse a Teresa Arrivabene il resoconto del giorno in cui don Luigi Martini andò a comunicargli la pena e di quello della sconsacrazione.

Dalle prigioni del Castello di S. Giorgio, 25 novembre 1852.

Mia cara,
[…] Egli [don Luigi Martini], infatti mendicava la parola non sapendo come farsi nunzio d'una cosa acerbissima e convenne al tutto che io lo animassi a dire francamente poiché non era al tutto disposto. Io pensavo quasi volesse dispormi ad udire la sentenza capitale. Disse, finalmente, che si era decretata dall'autorità ecclesiastica la mia degradazione e sconsacrazione. Stetti sopra me stesso un minuto, poi sorrisi di un sorriso di compassione per chi m'avesse a tanto condannato […].
Intanto io mi era proposto di non alterare per nulla la mia tranquillità, di non mancare alle debite espressioni di rispetto col mio vescovo ma di protestare solennemente, per mio conto e più per gli altri, contro la violazione delle più conosciute massime di diritto per assoggettarmivisi in appresso pacificamente. Compiute le tristi funzioni volevo dire le famose parole di Galileo: eppure la terra va. Tutti avrebbero inteso con ciò che io diceva: i popoli oppressi progredire verso la libertà e non esservi forza umana che valga a trattenerli.
[…] Subito dovetti indossare per l'ultima volta gli arredi sacri e fui condotto innanzi a monsignore ai piedi del quale mi accennarono mi inginocchiassi. Erano presenti l'auditore e il maggiore di piazza Haward. Il canonico Martini che doveva assistere l'antistite erasi cacciato da una parte a piangere, il cerimoniere singhiozzava, il vescovo tremava. […] erasi pronunciata la mia degradazione, sconsacrazione e privazione di ogni potestà sacerdotale ecc. Con un piccolo coltello monsignore mi raschiò lievissimamente le dita consacrate, poi mi levò di dosso tutti gli abiti sacerdotali. Appresso presemi le mani fra le sue e mi significò il suo dolore, mi disse di non aver più nessuna speranza di salvarmi dall'estremo caso e confortommi a preparare l'anima coi soccorsi della religione.
[…] E' lo sgraziato Ottonelli che sveste i paramenti pure da me spogliati. Il pianto si rinforzò durante la cerimonia tanto che tre usci non lo toglievano ai miei orecchi sicché l'animo mio profondamente fu conturbato dalla immeritata sciagura dell'amico. Che non avrei fatto per salvarlo? Egli è vittima della illimitata fiducia che ebbe in me tanto che non sarebbevi stata cosa a cui io non avessi potuto indurlo. Eppure so che di me non lagnossi mai! Ha l'animo delicato quanto il corpo esile.
Oh qui, sì, che la mia fortezza vien meno!
[…] Enrico

in E. Tazzoli, Scritti e memorie 1842-1852, introduzione di F. Della Peruta, Milano, Franco Angeli, 1997